Little Fires Everywhere
Anno 2020
Rete Televisiva: Hulu e Amazon Prime
Ideata da Liz Tigelaar
Tratta dal romanzo di Celeste Ng.
Cast: Reese Whitherspoon, Kerry Washington,
Joshua Jackson, Rosemarie DeWitt, Huang Lu,
Jade Pettyjohn, Lexi Underwood, Anika Noni Rose,
Megan Stott, Gavin Lewis, Jordan Elsass
Disclaimer: I diritti delle immagini usate nell’articolo appartengono a Hulu e Amazon.
Ambientata alla fine degli anni 90, riesce a ricalcarne abbastanza bene le dinamiche interpersonali, le mode, la musica e tutto il resto, anche se alcune cose risultano un po’ tirate.
Tutto inizia con l’arrivo di Mia Warren (Kerry Washington – Django Unchained, L’ultimo Re di Scozia) e la figlia Pearl (Lexi Underwood – The Good Doctor, Person of Interest, Code Black) a Shaker Heights, un sobborgo di Cleveland, dove iniziano a vivere quasi come senzatetto nella loro auto.
Vengono quasi subito notate da Elena Richardson (Reese Whitherspoon – Big Little Lies, Pleasantville, Friends, Premio Oscar per Walk the Line), una giornalista, padrona di casa, e madre di quattro teenagers, sposata con Bill (Joshua Jackson – The Affair, Fringe, When They See Us, Bobby), avvocato di successo.
Vi avvisiamo che da qui avanti vi saranno diversi SPOILER…
Elena offre a Mia, talentuosa artista, di abitare in una casa di sua proprietà in affitto e di lavorare per lei come governante part-time.
Inizialmente Mia, orgogliosa, rifiuta ma dopo un litigio con la figlia Pearl, che ha subito legato con Elena e i suoi figli, in particolare con Moody (Gavin Lewis – Roswell New Mexico, Prince of Persia) e Trip (Jordan Elsass – Reagan: From Movie Star to President, Superman & Lois), decide di accettare per dare un po’ di stabilità alla ragazzina, in piena fase adolescenziale.
Elena e Mia sembrano diventare amiche dopo una riunione di un club di letteratura locale, soprattutto per un lungo discorso di Mia sulle pulsioni sessuali represse delle donne.
Questa amicizia, che, lo ammettiamo, poteva avere dei risvolti interessanti, viene troncata sul nascere quando viene fuori che Bebe Chow (Huang Lu – The Conformist, A Fallible Girl), collega di lavoro di Mia in un fast food locale, ha dovuto abbandonare la figlia Mei Ling perché non poteva nutrirla e la piccola ha finito per essere adottata da Linda (Rosemarie DeWitt – Rachel sta per sposarsi, La La Land, Black Mirror) , amica d’infanzia di Elena, reduce da diversi aborti, che la chiama Mirabelle.
Comincia così una guerra senza esclusioni di colpi tra Elena e Mia, sia in tribunale che nel privato, che paiono ignorare come le loro figlie Pearl e Izzy (Megan Stott – Second Star to the Right) cerchino la madre che non hanno mai avuto, la prima in Elena e la seconda in Mia.
Nel mentre Bill, marito di Elena, si sente sempre più messo da parte, dal comportamento della moglie, decisa a scavare a fondo nel passato di Mia per usarlo contro di lei.
Le liti tra i due coniugi diventano più frequenti, mostrando come la loro apparente felicità sia solo di facciata, del resto c’è sicuramente qualcosa che non va in una coppia che ha bisogno di segnarsi un giorno settimanale per fare sesso.
Bill, suo malgrado, si ritrova a dover difendere Linda in tribunale, facendo anche domande scomode a Mia ma evitando di usare le informazioni che la moglie ha trovato su di lei, segno di una frattura insanabile tra i due: è ovvio che Bill non ami per nulla le bassezze morali a cui è arrivata Elena.
Sia le discussioni tra i due sia quelle tra la donna e il suo ex fidanzato mostrano come la giornalista si sia voluta scegliere una famigliola perfetta perché non voleva accettare una vita diversa e più trasgressiva da quella che sognava da ragazza.
In questo nasce il suo odio/amore per Mia che ha avuto il coraggio di fare scelte diverse dalle sue, anche grazie all’amato fratello Warren.
Bella anche la storia del gruppo adolescenziale, dove emergono le figure di Izzy e Pearl ma non mancano di suscitare interesse Trip, Lexie (Jade Pettyjohn – School of Rock) e Moody, anche loro ingabbiati una vita apparentemente perfetta che non sentono loro.
In tutta onestà Megan Stott, Lexi Underwood, Jade Pettyjohn, Gavin Lewis e Jordan Elsass sembrano molto più incisivi di Reese Whiterspoon e Kerry Washington, complice una scrittura più agile della loro parte di sceneggiatura.
Cosa che avviene anche per le controparti giovanili di Mia, Tiffany Boone (The Midnight Sky, C’era una volta, The Following) e di Elena, AnnaSophia Robb (The Carrie Diaries, Un ponte per Terabithia), che colpiscono veramente molto.
Il problema, per Washington e Whiterspoon, che pur essendo veramente brave, hanno a che fare con una sceneggiatura che per loro zoppica continuamente e non si capisce fino in fondo cosa volessero fare dei loro due personaggi, che sono il centro di Little Fires Everywhere.
Spesso girano a vuoto, vi sono stereotipi e luoghi comuni che spuntano in ogni dove, anche se in principio sembrava li si volesse calpestare.
Da lodare anche Rosemarie DeWitt, Huang Lu e Joshua Jackson, che pur avendo parti secondarie, riescono dare spessore e carisma ai loro personaggi.
De Witt e Huang, ovvero le interpreti di Linda e Bebe, al contrario delle due protagoniste, hanno una scrittura più fluida e verosimile, che permette allo spettatore di empatizzare moltissimo con loro.
Come avviene per il povero Bill, che, di fatto, è l’unico vero genitore decente di questa storia, nonostante abbia mille impegni, fa di tutto per stare vicino ai suoi tre ragazzi, senza creare nessuna differenza o rivalità, cosa che invece Elena crea eccome.
E cerca persino di compensare il ruolo di madre per la povera Izzy, “odiata” senza motivo da Elena perché per me il suo comportamento nei confronti di Izzy ma anche nei confronti degli altri figli non ha alcun senso.
E solo alla fine la donna comprende di amarli e fa un gesto di generosità estremo per provare a salvare il salvabile anche se forse ha perso per sempre Izzy, decisa a seguire Mia e Pearl, costrette a fuggire, ancora una volta, a causa del loro passato.
Elena, dicevamo, rende la vita impossibile a tutti.
Lo fa con il marito Bill, con Izzy, con i due figli maschi, che devono essere perfetti e con Lexie, che deve apparire come la figlia modello.
Lexie deve essere la miss della scuola, fidanzata con un ragazzo di colore per apparire moderna e deve andare a Yale.
Alla fine la ragazza si trova totalmente sola e spinge alla ribellione i fratelli, che si sono trovati rivali in una stupida storia adolescenziale.
Pearl, comunque, non se la passa meglio.
Perché se Mia ha mille ragioni per avercela con Elena e per fuggire da New York, non ne ha per il modo in cui si comporta con la figlia, che tiene costantemente sotto una campana di vetro.
E non basta il mistero che vi è dietro il padre di Pearl a spiegare un atteggiamento tanto sciocco e immaturo.
Considerando poi che Mia aveva avuto una storia splendida con la sua mentore artistica, Pauline Hawthorne, interpretata da una bravissima Anika Noni Rose (Dreamgirls, Elementary, Radici), una donna capace di spingerla oltre ogni limite nell’arte e nella vita, per tirare fuori la vera sé stessa, il comportamento di Mia è ancora di più senza senso.
Forse una delle cose più pregevoli della serie è che, comunque, ha voluto portare dei punti di riflessione sul nostro mondo.
Su come certe cose possono cambiare a seconda del colore della pelle.
In uno degli episodi forse più significativi della serie ci viene mostrato come pochi spiccioli possono essere considerati mancanti o meno.
La povera Bebe non riesce a comprare il latte per la sua piccola Mei Ling: le mancano 70 cents.
La donna al drugstore non mostra nessuna empatia verso una madre che sta cercando di nutrire una neonata piangente.
Alla fine di una festa, Izzy è costretta a tornare a casa da sola, in autobus, e le mancano 70 cents.
Sta per scendere dall’autobus, perché teme che le venga rifiutato il passaggio, invece l’autista la fa salire dicendole: “Va bene lo stesso.”
E, durante il processo per l’affidamento di Mei Ling, viene detto chiaramente che Bebe non ha nessuna speranza di vincere.
Perché si tratta di una causa in cui c’è una madre di pelle bianca, e soprattutto di buone condizioni economiche, contro una donna asiatica, un’immigrata illegale che a malapena riesce a sbarcare il lunario.
Soprattutto punta il dito contro il clima di finta accettazione del diverso.
Elena cerca di far capire a Izzy che non deve vergognarsi di essere lesbica ma non lo fa perché ci crede davvero in quello che dice.
Lo fa perché così può dimostrare di essere una donna moderna, emancipata e inclusiva.
Ricordiamoci che la serie è ambientata negli anni 90, l’anno in cui finalmente l’omosessualità cessava di essere considerata una malattia mentale e, invece, diventava una inclinazione sessuale come è per l’eterosessualità.
Ma lo stigma ancora era molto forte, soprattutto in un mondo in cui essere standardizzati, ossia essere e comportarsi come la società da sempre si aspetta, è la norma.
La serie ci lascia alla fine con un sapore molto amaro in bocca.
Non entreremo nei dettagli e soprattutto non daremo risposta alla domanda che viene fatta a inizio serie. Ci limitiamo semplicemente a dire che è un finale che apre alcuni spiragli che potrebbero essere usati nel caso volessero fare una seconda stagione, anche se, tanto la showrunner quanto l’autrice del racconto da cui è tratta la storia, negano che vi sarà un seguito.
Potete vedere Little Fires Everywhere (Tanti Piccoli Fuochi) qui sotto
Little Fires Everywhere Prime Video.it
Little Fires Everywhere Hulu.com
Articolo redatto da Silvia Azzaroli e Simona Ingrassia.